ACANTO
Quasi casualmente passiamo da questa antica polis, situata vicino all’attacco del dito più orientale della Calcidica e ignota ai più, salvo forse a coloro che ne apprezzano la splendida monetazione. Ebbe una certa importanza storica tra l’epoca delle guerre persiane durante le quali fu costretta a piegarsi di fronte alla marea orientale1, la guerra del Peloponneso2 e poi ancora nella prima metà del IV secolo, riuscendo a mantenersi indipendente dalla Lega Calcidica3, fino a quando venne infine inglobata nel regno di Macedonia da parte di Filippo II4.
URANOPOLI
Poco più a Sud, punto d’ingresso al monte Athos, si trova la cittadina di Uranopoli (Oὐρανόπολις, cioè “Città del Cielo”). Storia, filosofia, religione, numismatica e letteratura si amalgamano in una realtà misteriosa, esoterica, affascinante.
La città fu fondata attorno al 300 a.C. da Alessarco, fratello di Cassandro (ca 317-297 a.C.), reggente e poi re di Macedonia lui stesso.
Non si conosce l’esatta ubicazione del sito, a causa della carenza di testimonianze archeologiche, tanto che la struttura simbolo della città odierna è una, peraltro splendida, torre bizantina del XIV secolo. Nel 1954 una spedizione svedese avrebbe forse trovato i resti della città antica, sommersi dal mare cristallino non lontano dal moderno insediamento, ma non sono mai stati condotti studi approfonditi in proposito.
Cassandro ebbe 6 fratelli maschi noti5. Nonostante una durezza spesso sfociata in ferocia e crudeltà, doti peraltro indispensabili in quel momento storico così turbolento, egli, caso rarissimo tra le dinastie reali ellenistiche, riuscì sempre a convivere pacificamente coi propri fratelli6 e anche nei momenti più difficili essi rimasero tutti solidali nel sostenere la causa comune della propria casata, venendo impiegati con funzioni militari e politiche di primaria importanza.
“Diversa da tutte le altre… è, invece, la figura di Alexarchos”.7 Le fonti letterarie e quelle numismatiche sono coerenti nel tratteggiarla:
Che bisogno c’è di citare Alessarco (questi, che era, quanto al sapere, grammatico, come narra Aristone di Salamina, trasformava se stesso nel dio Sole)?8
E Alessarco…, il fratello di Cassandro, che era re di Macedonia, che costruì la città chiamata Uranopoli. Ed Eraclide Lembo parla di lui nel settimo libro delle sue Storie, e dice: “Alessarco, che fondò la città Uranopoli, adottò nel linguaggio molte parole e forme di parlare particolari: chiamando un gallo ὀρθροβόας, ossia colui che canta al mattino; e un barbiere βροτοκέρτης, ossia uno che taglia gli uomini; e chiamo ἀργυρὶς una dramma, ossia pezzo d’argento; e chiamò una chenice9 ἡμεροτροφὶς, ossia ciò che alimenta un uomo per un giorno; e chiamò un araldo ἀπύτης, cioè attaccabrighe10. E una volta scrisse una lettera ai magistrati dei Cassandrei in questa forma: “Aλέξαρχος ὁ μάρμων πρόμοις γαθεῖν. τοὺς ἡλιοκρεῖς οἰῶν οἶδα λιποῦσα θεωτῶν ἔργων κρατήτορας μορσίμῳ τύχᾳ κεκυρωμένας θεοῦ πόγαις χυτλώσαντες αὐτοὺς, καὶ φύλακας ὀριγένεις “11. Ma che cosa la lettera significhi penso che persino lo stesso Apollo Ftio potrebbe dirlo difficilmente con sicurezza.12
Il Monte Athos… è dove Alessarco, il figlio di Antipatro, gettò le fondamenta di Uranopoli, con il suo perimetro di 30 stadi13.14
Monte Athos… Le città attuali sono Uranopoli…15
Aristone… riferì di una certa epistola di Alessarco nella quale si racconta che Dioniso, figlio di Zeus e di Iside, non è chiamato Osiride dagli egiziani, ma Arsaphes, con la lettera A, che denota virilità.16
La fondazione di città fu uno degli strumenti di propaganda più utilizzato dai sovrani ellenistici per fornire un senso di regale potenza e di stabilità dinastica. Cassandro, seguendo in tal senso le orme dell’odiato Alessandro, fu il primo tra i diadochi a servirsene in maniera massiccia.
-Nel 316/5 a.C. si autocelebrò fondando Cassandrea sul dito più occidentale della Calcidica. Tale città era, almeno da un punto di vista formale, indipendente dal regno di Macedonia17.
-In un anno imprecisato (316-297 a.C.) fondò la macedone Tessalonica sul golfo Termaico in onore formalmente della moglie Tessalonice, ma in realtà per autolegittimarsi quale successore del padre di lei: Filippo II. Infatti alla politica conservatrice di costui, da molti considerato il vero fondatore della potenza macedone, egli si ispirava in contrapposizione a quella “progressista” di Alessandro18. -Ciò è dimostrato anche dalla rifondazione di Tebe nel 315 a.C., dovuta sì a motivazioni militari e strategiche, ma anche al fatto che la città era stata distrutta proprio da Alessandro 20 anni prima19.
-Fondò, probabilmente presso il confine illirico, un caposaldo militare in onore del padre: Antipatreia20.
-Pur con notevoli peculiarità, anche Uranopoli può essere inserita in questa lista. Anch’essa fu formalmente indipendente come Cassandrea e forse anche di più, vista l’esistenza di una sua monetazione civica.21 Assumendo il punto di vista di Cassandro, “è innegabile che la fondazione di questa realtà urbana confermi la volontà da parte degli Antipatridi di rafforzare la presenza poleica nella Calcidica, senza alcun timore per una eventuale concorrenza con il potere macedone”22. I fratelli erano molto uniti23 o Alessarco era considerato innocuo?
Diciamo subito che le monete “di Uranopoli” hanno posto e pongono tuttora numerosi problemi interpretativi. Gli esemplari n° 1 e 2 sono monete note in numero assai ridotto (esiste anche una singola dramma). Senza entrare troppo nei particolari Lederer24 ha sostenuto, sulla base di motivazioni stilistiche, ma soprattutto ponderali, che i tetradrammi siano falsi inventati in epoca moderna, mentre per la Thompson25 sono al contrario le frazioni (didrammi e dramme) a destare perplessità per le stesse ragioni. La questione è molto complessa e la riaffronteremo in seguito, ma sappiamo che la data di acquisizione del didrammo del British Museum (n°2) è il 1877.
Vista la grande quantità di esemplari rinvenuti, l’esistenza dei bronzi è fuori discussione, così come quella dei tetradrammi a nome di Alessandro, per i quali sono attestati circa 50 conii di dritto26. Si tratta però di una quantità apparentemente elevata per una città come Uranopoli.
Sole, stella/e, falce lunare e cono sormontato da stella, in duplice versione di simbolo autonomo e copricapo di Afrodite Urania assisa su globo, costituiscono gli elementi caratteristici della produzione uranopolitana.
Poichè il cono sormontato da stella appare su alcune monete attribuibili alla zecca di Anfipoli (n°10), in quanto facenti parte del “Λ torch group”27, gli studiosi sono giunti a conclusioni molto diversificate circa il luogo di produzione di questi tetradrammi.
Un po’ ingenuamente Breitenstein ha assegnato non solo i tetradrammi con cono sormontato da stella, ma anche tutto il “Λ torch group” a Uranopoli28. Al contrario, per altri tutte queste monete sono da attribuirsi interamente ad Anfipoli29.
Sulla stessa lunghezza d’onda paiono invece Price30 e Mørkolm31: viste le affinità stilistiche e il legame di entrambe le città con Cassandro è possibile che incisori di Anfipoli si siano trasferiti a Uranopoli. Pertanto alcuni tetradrammi con cono sormontato da stella andrebbero attribuiti ad Anfipoli32, ma la maggior parte di essi sarebbe stata prodotta nella città della Calcidica.
Una moneta che ingiustamente non è stata considerata è invece il Price 478 (n°11), che ha sotto il trono la stella associata a una soprastante falce lunare/crescente. Il legame coll’esemplare n°4 appare subito evidente e potrebbe forse suggerire che la raffigurazione su di esso vada letta al contrario di quanto si fa normalmente: cioè con la luna sopra e non sotto.
Il fatto che la stella sui Price 475 e 478 presenti spesso 6 punte, e talora 7, piuttosto che 8 (comunque presenti in alcuni casi) mi induce a pensare che questi due tipi siano precedenti a quelli di Uranopoli veri e propri (Price 509-523), che hanno invece nella stragrande maggioranza dei casi la stella a 8 punte, così come tutti i bronzi. Tale standardizzazione potrebbe derivare dalla definizione dei simboli della nuova città, in relazione all’avvio della produzione monetale civica.
Viste le affinità stilistiche con i tetradrammi di Alessandro attribuiti invece ad Anfipoli, il duplice legame simbolico evidenziato nell’immagine 4, l’enorme quantità di monetato in breve tempo per una realtà apparentemente così piccola33 (50 conii di dritto x 30.000 monete di media=1.500.000 tetradrammi=25.800 kg d’argento)34 e la non grande distanza tra Uranopoli e Anfipoli (113 km), la mia ipotesi è dunque che i tetradrammi di Alessandro attribuiti dal Price a Uranopoli furono coniati nelle officine di Anfipoli controllate da Cassandro, ma a uso e consumo di Alessarco a Uranopoli. Secondo il Price qualcosa di non dissimile sarebbe avvenuto sempre ad Anfipoli con Cassandro e Lisimaco, al quale sarebbe appunto da ricollegarsi il “Λ torch group”35.
I Price 475 e 478 rappresenterebbero dunque una incerta fase di passaggio dalla produzione monetale di Anfipoli (che era probabilmente per Lisimaco) a quella per Uranopoli, poiché in essi si può appunto vedere una commistione di simboli. Ciò sarebbe iniziato ad Anfipoli (imm. 4), ma non è impossibile che alcuni operatori della zecca madre vi siano stati trasferiti, dopo l’eventuale costruzione nella neonata città delle strutture necessarie.
La sorte di Alessarco e della sua città dopo la morte di Cassandro e i tre successivi turbolenti anni (vedi sotto), è ignota. Certo è che Demetrio Poliorcete divenne nuovo re di Macedonia nel 294 a.C.. Sposa di Demetrio fin dal 321 a.C. era Fila, sorella di Alessarco e Cassandro e che molto probabilmente, nonostante l’inimicizia tra la propria famiglia e il marito, non aveva comunque tagliato del tutto i ponti con la prima36. E’ forse possibile che il nuovo re macedone abbia lasciato al proprio imbelle cognato il suo piccolo dominio semi-indipendente? Qualunque risposta non può che essere un salto nel vuoto, ma credo che la domanda sia legittima.
Ciò che è certo è che è apparsa recentemente in un’asta un inedito37 tetradrammo di Lisimaco col caratteristico simbolo del cono sormontato da stella a 8 punte e che viene spontaneo attribuire a Uranopoli (n°12). Se autentico, potrebbe semplicemente indicare la presa di possesso dell’area da parte di Lisimaco che, tra il 287 e il 286, dopo aver spodestato Demetrio e il proprio alleato Pirro divenne unico sovrano della Macedonia. Ma se indicasse piuttosto che Lisimaco aveva fatto di Alessarco un proprio “vassallo” (ammesso fosse ancora vivo)? In precedenza infatti egli aveva collaborato con altri fratelli di Cassandro: Prepelao/Perilao38 e soprattutto con Plistarco, che (probabilmente tra il 299-290 circa a.C.) fu dinasta semi-indipendente in Caria sotto la sua egida39.
Alessarco fu certamente un caso eccezionale nella sua famiglia, che era ai vertici dell’aristocrazia militare macedone, ma possiamo analizzare il contesto in cui visse e gli influssi che lo portarono a fare ciò che fece.
Attorno a Cassandro era attivo una sorta di circolo culturale con intellettuali, filosofi e artisti di primo piano, tra i quali il peripatetico Demetrio Falereo, che fu anche governatore di Atene, Teofrasto, successore di Aristotele alla guida del Peripato, lo scultore Lisippo, il pittore Filosseno di Eretria ed Evemero di Messina40.
Furono forse l’ateniese Demetrio e l’ateniese d’adozione Teofrasto a influenzare Alessarco nella scelta di Afrodite Urania come nume tutelare? Anche se non in maniera esclusiva, potrebbero aver contribuito. Infatti ad Atene, presso l’Agorà c’era uno dei santuari più importanti di questa dea ed è ampiamente noto l’elogio di essa, presente nel Simposio platonico (180, 181, 185, 187):
Tutti sappiamo che non c’è Afrodite senza Eros. Se dunque non vi fosse che una Afrodite, non vi sarebbe che un solo Eros. Ma essa è duplice, e quindi, necessariamente, abbiamo due Eros. Come negare che esistano
due dee? L’una, senza dubbio la più antica, non ha madre: è figlia di Urano, e la chiamiamo quindi la dea del cielo, Afrodite Urania; l’altra, la più giovane, è figlia di Zeus e di Dione, e la chiamiamo quindi la dea popolare, Afrodite Pandemia. E allora necessariamente l’Eros che serve l’una dovrà chiamarsi Eros Pandemio, quello che serve l’altra Eros Uranio. Certo, bisogna lodare tutti gli dèi; ma, detto questo, qual è il dominio dei due dèi?
Lo stesso avviene per l’atto d’amore, equindi non tutto l’amore è bello e degno di elogio: lo è soltanto quello che porta ad amare ben. Ora l’Eros compagno di Afrodite Pandemia certo è volgare e opera a casaccio: è proprio degli uomini da poco. Intanto queste persone si innamorano sia delleragazze che dei ragazzi, indifferentemente; e poi amano i corpi, non l’anima, e preferiscono le persone meno intelligenti: vogliono arrivare dritto al loro scopo, non gl’importa il modo – che sia bello o brutto. Capita quindi che si imbattano nel bene, e capita anche il contrario. Come è ovvio, questo Eros si unisce alla più giovane delle due dee, che sin dal suo concepimento partecipa sia del maschile che del femminile. L’altro Eros, invece, partecipa dell’Afrodite Urania che da sempre è estranea all’elemento femminile e partecipa soltanto del maschile; e poi è la più antica e non conosce alcun impulso brutale. Per questa ragione quanti sono ispirati da questo Eros sono attratti dall’elemento maschile: essi amano teneramente il sesso per natura più forte e intelligente.
Infatti se c’è qualcuno che per arricchirsi ha ceduto a un’amante che crede ricco, e viene poi ingannato e non ottiene nulla, perché il suo amante si rivela povero, la cosa rimane riprovevole anche se si è una vittima. Un simile uomo sembra mostrare il fondo della sua anima: per denaro si presta a tutto verso il primo venuto, e questo non è affatto bello. Secondo lo stesso ragionamento se si cede a qualcuno credendolo pieno di qualità e pensando di diventare migliori legandosi a questo amante, e se in seguito ci si trova ingannati scoprendo la sua malvagità, quanto sia povero nella virtù, ebbene chi è stato ingannato non ha nulla di cui vergognarsi. Anche in questo caso, infatti, sembra rivelarsi la qualità dell’anima: la virtù e il progresso morale, in tutto e per tutto, sono l’oggetto della propria passione – e questa è la cosa più bella che ci sia. Quindi è bellissimo cedere, quando si cede per la virtù. Questo Eros viene dall’Afrodite Urania, ed è davvero divino e prezioso per la città come per gli individui, perché esige dall’amante e dall’amato che entrambi veglino su se stessi, per essere ricchi di virtù. Quanto agli altri, essi rivelano il legame con l’altra dea, l’Afrodite Pandemia.
Ecco allora tornare il discorso di prima: se bisogna cedere, è bene farlo con uomini dai costumi ben regolati, proprio per migliorarsi quando ancora non si hanno le stesse qualità; l’amore di questi uomini deve essere ben difeso e bisogna quindi rivolgersi all’Eros bello, all’Eros Uranio, quello della Musa Urania. L’altro è quello di Polimnia, l’Eros Pandemio…
Evemero scrisse una Ἱερὰ ἀναγραφή, nella quale veniva descritta un’utopica isola di Panchaia nell’Oceano Indiano, dove il culto di Urano e gli elementi astrali (sole, luna e stelle) giocavano un ruolo di primaria importanza41. Il culto di Urano, attraverso sua figlia Afrodite, la luna, le stelle e forse anche il sole trovano riscontro proprio sulla monetazione di Uranopoli.
Ad ogni modo il legame col sole è offerto dal sopracitato passo di Clemente Alessandrino. Se il sole fosse Alessarco stesso, la luna potrebbe essere la sua consorte, mentre le stelle i cittadini42. Ma non è detto che la consorte sia una donna reale: è indiziata la stessa Afrodite Urania, che in alcune tradizioni viene identificata con la luna e associata al sole43.
Davvero particolare è poi la legenda monetale ouranidai (figli di Urano), al posto del prevedibile Uranopolitai (cittadini di Uranopoli); se i cittadini sono i figli del cielo e Alessarco è il sole che lo domina tale concezione potrebbe derivare anche dalla Repubblica di Platone44.
E’ evidente un legame tra Evemero e Alessarco, ma non bisogna giungere a estremizzazioni45, volendo vedere in Uranopoli il tentativo di tradurre in realtà Panchaia, creando, sulla scorta dell’opera di Alessandro Magno, una sorta di “world state in miniature”, uno stato utopico fondato sui concetti di fratellanza, unità e uguaglianza46. Nondimeno è vero che le conquiste di Alessandro ampliarono non solo i confini fisici, ma anche quelli culturali della grecità e in tal senso favorirono lo svilupparsi di idee utopistiche e l’apertura a influssi orientali47. E per l’appunto, in Uranopoli, è possibile rintracciare numerosi di questi influssi:
1-il culto solare, la religione astrale e, soprattutto presso i Babilonesi, la concezione di Sole come sovrano giusto dispensatore di benefici in egual misura a tutti48.
2-il culto stesso di Afrodite Urania, che traduce una delle forme con le quali la dea madre era venerata nel Vicino Oriente: Meleket Aschamain, ossia “regina del cielo”49. Giunta dapprima a Cipro e poi a Citera, si diffuse in seguito anche nella Grecia continentale e forse in Scizia, non lontano dalla Tracia e dalla stessa Uranopoli, dove secondo alcuni sarebbe stata già presente come consorte di Ares, il locale dio-sole50.
3- il cono sormontato da stella, che caratterizza alcune delle monete legate a Uranopoli. La più primitiva immagine di culto della dea in Vicino Oriente fu proprio quella del betilo51, conico o piramidale, da intendersi come xoanon52; ciò è ampiamente attestato archeologicamente, nelle fonti letterarie, numismatiche e perfino epigrafiche.
Molto significativa è un’ampia serie di epigrafi rinvenute presso il santuario di Epidauro, caratterizzate da dediche a varie divinità, associate a cerchi contenenti i simboli delle stesse divinità in questione. Tra i più evidenti: arco e freccia per Artemide, una bilancia per Dikaiosune (Giustizia), sistro per Iside, lagobolon e siringa per Pan.53
Ma quello che ci interessa maggiormente è una piccola ara datata nel IV secolo a.C..
Sotto la dedica ad Afrodite Urania c’è un cerchio contenente cinque elementi triangolari, che simboleggia la dea stessa. Viene descritto come Caelum astris ornatus54, ma altri lo interpretano come coni stilizzati o piramidi, cioè come betili55.
Illuminante è il caso del santuario di Afrodite Urania a Pafo riguardo al quale Massimo di Tiro, nel II secolo d.C. scrisse:
Afrodite è venerata dagli abitanti di Pafo: ma non è possibile paragonarne la statua a null’altro che a una bianca piramide, il motivo della qual cosa è ignoto.56
Le monete provinciali romane di Cipro da Augusto fino al III secolo trasformano in immagine le parole del retore. Vediamone alcuni esempi.
Fulcro della raffigurazione è proprio un elemento conico o piramidale al centro della struttura architettonica. Esso appare sormontato da un elemento piatto e, talora, al di sopra di esso anche da altri di natura non ben identificabile. Ma c’è di più…
Venerato forse fin dalla fine dell’età del bronzo, oltre un secolo fa venne scoperto presso il santuario di Afrodite a Pafo un pietrone nero conico, la Black Stone of Paphos, oggi visibile nel locale museo di Kouklia57. Misura circa 130 x 90 cm e si stima pesi attorno alla tonnellata.
Gli studiosi ritengono si tratti del betilo raffigurato sulle monete romane e che sia un meteorite. In realtà non è una roccia proveniente dallo spazio, ma un gigantesco blocco di andesite58 di origine prosaicamente terrestre. L’apparente crosta di fusione nera è piuttosto il residuo di secoli di libagioni compiute con miele o altri liquidi.59
Molti sono gli elementi legati al simbolismo astrale in queste monete: le stelle a 6 punte nell’esemplare 8 e la stella al di sopra della falce lunare nell’8 e nel 9, che offre un evidente parallelo al dritto della moneta di Uranopoli n°4. Anche la forma a semicerchio della corte antistante al tempio riprende probabilmente il motivo lunare.
Confrontando i betili dell’esemplare 5 e del 7, si può vedere come essi siano sostanzialmente identici, salvo i raggi della stella, che però a mio avviso potrebbero essere semplicemente un elemento simbolico rappresentativo della natura divina o extraterrestre/celeste dell’oggetto dal quale si sprigionano, che al contrario sarebbe stato reale, così come il sottostante cono. Perchè questa differenza? Maggiore estro artistico o fervore religioso da parte dell’incisore uranopolitano?
Di per sè la stella, in quanto corpo celeste, si adatta perfettamente ad Afrodite Urania, ma se a Cipro in epoca romana è rappresentata con 6 punte, in epoca ellenistica sotto il dominio tolemaico ne ha invece 8 (esemplari n° 14 e 15), come del resto quasi sempre anche a Uranopoli. La questione in realtà è più complessa, visto che, anche ben prima dell’arrivo dei Macedoni con Alessandro Magno, troviamo sull’isola levantina monete di un precedente sovrano di Pafo (tra l’altro connesse ad Afrodite, vista la presenza della colomba) con stelle a 8 punte (n° 13).
Tale motivo a stella è noto con vari nomi: Stella o Sole di Vergina, Stella Macedone o Argeade. E’ salito alla ribalta delle cronache alla fine degli anni ’70 del XX secolo con la scoperta della presunta tomba di Filippo II da parte di Manolis Andronikos. Poichè campeggiava (nella forma a 16 punte) sul larnax contenente i resti del sovrano defunto, secondo l’archeologo greco si sarebbe trattato dell’emblema della dinastia macedone. Sul secondo larnax d’oro nella medesima tomba, che conteneva i resti di una giovane donna, la stella presentava invece 12 punte.
Certo questo simbolo è ampiamente attestato nell’arte macedone. Certo i sovrani ellenistici, che avevano in Alessandro il proprio Faro (ma spesso anche singole poleis), lo utilizzarono ampiamente, per lo più nella versione a 8 punte.
Tuttavia questo stesso simbolo è presente nell’arte greca fin dal VI secolo a.C. su scudi e armature (noti soprattutto nelle raffigurazioni vascolari) e sulle monete; lo si ritrova ancora nel I secolo a.C.. Pertanto non può essere considerato semplicemente come simbolo nazionale o regale del regno macedone.60
Se non è dunque di pertinenza esclusivamente macedone, tuttavia i Macedoni ne fecero ampio uso. Mi viene spontaneo domandarmi se quello che per noi è uno degli elementi iconici della Macedonia antica lo fosse anche per gli uomini dell’epoca, o piuttosto fosse un elemento iconografico impiegato abbondantemente solo perchè connesso alla sfera celeste/solare. Essa infatti aveva un’importanza notevolissima e una presenza costante in ambito artistico. Ciò potrebbe essere una nostra percezione, dovuta al successo del mondo macedone? Insomma: la Stella Macedone era percepita come Macedone anche dagli stessi Macedoni, o era semplicemente stella?
Personalmente propendo per la seconda ipotesi, anche se la stella è attestata come simbolo personale di almeno un sovrano macedone61.
Se invece fosse corretta la prima, nel cono sormontato da stella simbolo di Uranopoli sarebbe possibile individuare una crasi tra il betilo (come quello dell’esemplare 7, che doveva plausibilmente aderire al vero) e la stella, per amalgamare in esso Afrodite Urania e la Macedonia.
Attraverso una serie di esempi numismatici Faintich mostra come tale raffigurazione sia polisemica, pur all’interno del medesimo campo semantico e cioè quello astronomico. Essa è infatti utilizzata per rappresentare un’ampia gamma di elementi: divinità (in particolare se presente singolarmente), sole, comete, pieneti e talora anche stelle. E’ importante analizzare l’insieme e il contesto storico e cronologico nel quale la moneta venne coniata.62
In sostanza si tratta di un elemento iconografico impiegato in maniera variegata e variabile per rappresentare tutti i corpi celesti e le divinità di pertinenza celeste e solare. Talora inoltre assume valenza astratta (Elios, Afrodite), talora è simbolo generico di una realtà concreta (il cielo come idea), talora invece raffigurazione di una realtà concreta e specifica (una particolare congiuntura o fenomeno astronomico), talora infine elemento puramente decorativo (vedi B, immagine 12) con, al massimo, un vago legame con la sfera celeste nella mente dell’osservatore. Non va escluso comunque che ciò che in origine era raffigurazione di una realtà concreta e specifica sia divenuto, nel corso del tempo, simbolo generico ed elemento decorativo.
Faintich, tra l’altro, prova proprio a spiegare anche il presunto tetradrammo civico di Uranopoli (n°1), sul cui dritto sarebbero rappresentati i sette pianeti noti ai Greci: Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno, Sole e Luna, gli ultimi due con un’aspetto differente dagli altri cinque.
Cerchiamo di analizzare più nel dettaglio le monete di Uranopoli.
Nell’esemplare n°1 la raffigurazione della luna con la parte concava rivolta verso l’esterno, piuttosto che aderente alla curva dell’altro astro, risulta davvero molto strana e non piacevole da un punto di vista compositivo e sembrerebbe indicare una contrapposizione netta, piuttosto che uno stretto legame, ossia una sorta di abbraccio.
Ho trovato un’unico confronto (imm. 15, n°19), anche se l’esistenza di una variante senza stella sotto la falce lunare e il contesto orientale (tradizionalmente legato agli studi astronomici), mi inducono a pensare a reali situazioni della volta celeste.
Basti guardare, all’opposto, i n° 4 e 9 nell’immagine 9 o una vasta carrellata di monete su un noto sito d’aste. Ma si potrebbe anche fare un salto più indietro nel passato fino all’età del bronzo (III-II millennio a.C.).
Quale sarebbe dunque il significato di questa iconografia? Si tratta della semplice giustapposizione simbolica di sole/corpo celeste e luna? O forse tale design rappresenta una reale situazione astronomica? Secondo Tom Buggey una possibilità è che si tratti della raffigurazione di un’eclissi parziale di sole, anche se ciò presuppone il fatto che la Stella rappresenti in realtà la Luna, mentre la presunta falce lunare rappresenti invece la porzione di Sole non oscurata dalla Luna63.
E’ un’ipotesi affascinante, ma tale deve rimanere.
Il motivo della falce lunare includente Stella Macedone, che, non dimentichiamo, è attestato anche a Uranopoli, è diffusissimo in ambito numismatico e alcuni esempi ci permetteranno di fare delle riflessioni in proposito.
Negli esemplari n°24-25-26 gli elementi astrali sono combinati in maniera fantasiosa e a essi ne viene anche aggiunto un altro, pur sempre legato alla sfera celeste: il fulmine. Particolarmente interessante è il rovescio dell’emiobolo tarantino n°24, il cui motivo circa due secoli prima decorava il collo di un’hydria pestana, dove era riportato consecutivamente più volte (imm. 12, D).
La falce lunare con stella all’interno ci appare quasi come un simbolo dinastico dei sovrani mitridatici del Ponto, essendo presente sulle coniazioni di Mitridate III (n°28), IV, VI (n°29-30) e Farnace I. Bisogna comunque considerare che la conoscenza delle monetazioni di Mitradate I e II è molto limitata e discussa, mentre del V non si conosce che un singolo tetradrammo.
Una versione molto particolare di tale motivo appare nelle monete ateniesi di Mitridate VI dell’87/6 a.C.. Sia nei bronzi, che nei tetradrammi di Nuovo Stile, sono presenti due falci lunari contrapposte, che paiono quasi formare un cerchio attorno alla stella. Ricollegandomi al Faintich, mi pare sensato ipotizzare che possa trattarsi di una rappresentazione ancora una volta di un’eclissi di sole, ma in questo caso di tipo anulare.
In questa carrellata di casi voglio provare a interpretare le monete di Uranopoli. Credo sia possibile attribuire un significato preciso alla falce lunare includente stella almeno in alcuni casi e specialmente quando, come appunto a Uranopoli, tale motivo è presente da solo e viene impiegato in maniera in qualche modo contrapposta alla Stella Macedone.
Nell’esemplare n° 27 vediamo al dritto la raffigurazione di Elios, mentre al rovescio la nostra falce lunare con stella incusa. E’ forse possibile leggere una contrapposizione tra le due facce della moneta?
Al rovescio dei tetradrammi del sovrano indo-greco Telefo sono presenti Elios e Selene affiancati, indicati l’uno dalla corona radiata e l’altra dalla falce lunare indossata sulla testa con la parte convessa verso il basso. Ma in un esemplare apparentemente inedito (n°35), il normale “copricapo” di Selene diventa una falce lunare affiancata da due stelle; dunque anche la falce associata alle stelle (o magari anche una singola stella) può esser vista come simbolo ulteriore della dea. Una seconda possibilità che ritengo plausibile è che in questa variante non sia rappresentata Selene, bensì Nyx, l’antichissima dea della notte.
Al dritto dei due bronzi civici di Uranopoli (n°3 e 4) troviamo rispettivamente la Stella Macedone e la falce lunare contenente Stella Macedone. Considerando come la stella sia un’iconografia polivalente e il primo esemplare sia il nominale maggiore e cioè quello più importante, credo fermamente che questo possa essere rappresentativo del giorno/cielo diurno (stella=sole), mentre il nominale inferiore sia stato impiegato per raffigurare la notte/cielo notturno (stella + luna= cielo stellato + luna).
Questa interpretazione si adatta estremamente bene al contesto uranopolitano, dato che Urano è la personificazione del cielo, e trova lampante conferma in un denario romano dell’inizio del I secolo a.C..
Plutarco infatti nella Vita di Romolo (17, 2-4) scrisse:
A questo punto il resto dei Sabini si infuriarono, e dopo la nomina di Tazio come loro generale, marciarono su Roma. La città era di difficile accesso, avendo come sua fortezza l’attuale Campidoglio, sul quale era stato istituito un posto di guardia, con Tarpeio come suo comandante – non Tarpea, una fanciulla, come dicono alcuni, facendo in tal modo di Romolo uno sciocco. Ma Tarpea, figlia del comandante, consegnò la cittadella ai Sabini, dopo essersi innamorata dei bracciali d’oro che li vide indossare, e chiese come pagamento per il proprio tradimento ciò che essi portavano sul braccio sinistro. Tazio acconsentì, dopo di che lei durante la notte aprì una delle porte e lasciò che i Sabini entrassero…..
Questo fu anche il sentimento che Tazio ebbe verso Tarpea, quando ordinò ai suoi Sabini, memori del loro accordo, di non risparmiare alla ragazza nulla che indossassero sul braccio sinistro. E lui fu il primo a prendere dal suo braccio non solo il bracciale, ma allo stesso tempo lo scudo, e li gettò su di lei. Tutti i suoi uomini ne seguirono l’esempio, e la ragazza fu colpita dall’oro e sepolta sotto gli scudi, e morì a causa del loro numero e del loro peso.
Questo attacco notturno fu la prima reazione dei Sabini al ratto delle proprie donne, che invece era avvenuto durante una celebrazione religiosa in pieno giorno.
Se nel cielo della moneta rappresentativa di quest’ultimo atto non vi è nulla (n°36), in quello dell’episodio di Tarpea troviamo invece la nostra falce lunare con stella inclusa (n°37). Tale motivo ci appare dunque chiaramente adoperato in maniera simbolica per fare capire come la scena si svolga nottetempo, cioè sotto un cielo nel quale sono presenti la luna e le stelle.
Nel bronzo di Sagalassos (n°32) vi sono Elios e Selene affiancati. Elios è indicato dalla consueta corona radiata, mentre Selene presenta la falce lunare antistante. In qualche modo i due elementi identificativi delle divinità adottano una posizione paragonabile a quella della falce lunare con stella inclusa. Potrebbe dunque quest’ultima rappresentare in forma simbolica il medesimo concetto del n° 32, ossia Elios e Selene abbracciati? Sembrerebbe una possibilità alternativa alla precedente, ma in realtà credo non sia valida. Nell’esemplare n°27 vogliamo davvere vedere Elios al dritto e ancora Elios, oltre a Selene al rovescio? La medesima domanda può essere posta anche per i n°3 e 4.
Molto particolari sono gli esemplari cilici n°33 e 34, che furono prodotti a circa 6 secoli di distanza. L’interpretazione di queste monete credo possa andare di pari passo con quella della serie dello zodiaco di dramme in bronzo di Antonino Pio coniate ad Alessandria. Affine è l’esemplare n° 31, con Selene (della quale è presente anche il busto) in Cancro. Le nostre rappresenterebbero dunque la Luna in congiunzione col Leone.
Dunque, qualunque sia il suo significato originario, non sempre tale iconografia fu utilizzata nella pienezza e concretezza di esso, ma spesso come riferimento generico al cielo, come simbolo o persino come elemento decorativo. Si tratta insomma della medesima situazione che abbiamo analizzato in precedenza per il motivo della Stella Macedone a sé stante.
Che abbia ragione Lederer o la Thompson64, l’incoerenza ponderale tra i tetradrammi civici e le sue frazioni dimostra che quasi certamente almeno uno dei due gruppi non è autentico.
La presenza sui tetradrammi della Lambda e della Torcia, riferibili probabilmente a Lisimaco la prima e sicuramente ad Anfipoli la seconda, in quanto simbolo di Artemide, porterebbero alla logica conseguenza che fossero stati coniati ad Anfipoli, il che è possibile, ma sotto l’egida di Lisimaco piuttosto che di Cassandro, il che risulta invece difficilmente accettabile, dato che il “Λ torch group” viene datato al 315-294 a.C. circa65. Perchè se, come ritiene il Price, si trattava appunto di una monetazione coniata ad Anfipoli da Cassandro per l’amico Lisimaco, risulterebbe incomprensibile che gli stessi simboli venissero messi su quelle coniate invece per il fratello Alessarco, o coniate da Alessarco stesso a Uranopoli. L’unica finestrella disponibile sarebbe ampia un paio d’anni, o forse meno (circa 296-294 a.C.), in seguito alla morte di Cassandro e del suo primogenito Filippo, avvenuta pochi mesi dopo sempre nel 297 a.C.. Saliti al potere congiuntamente i figli minori Antipatro, che aveva sposato la figlia dello stesso Lisimaco, e l’ultimogenito Alessandro, il primo uccise la madre Tessalonice (probabilmente nel 296 a.C.), accusata di favorire il secondo, e così l’altro chiamò in proprio aiuto Demetrio Poliorcete e Pirro. E’ probabile che nel periodo di caos che ne seguì, durante il quale Demetrio uccise Alessandro e molto probabilmente anche Antipatro, proclamandosi poi re di Macedonia nel 294 a.C., Lisimaco avesse esteso la propria area d’influenza verso Ovest, dove si trovava appunto Anfipoli. E infatti sarebbe proprio qui che secondo la Landucci Gattinoni si sarebbe svolta nel 294 una battaglia che vide Lisimaco sconfitto da Demetrio e costretto a riconoscergli la piena sovranità sulla Macedonia.66
Facciamo un passo indietro fino alle epigrafi di Epidauro67, poichè ce n’è una seconda particolarmente significativa ai fini del nostro discorso.
Il simbolo di Urania in basso a destra non ci ricorda forse qualcosa?
Inizialmente tale stele presentava un’altra iscrizione68, che venne poi quasi del tutto obliterata dalla dedica ad Apollo. Ancora più tardi furono invece aggiunti la dedica “E a Urania” e i due simboli di Apollo e Urania. Chi è mai questa Urania? Secondo il Fraenkel non sarebbe certamente Afrodite Urania, poichè per essa è attestato un simbolo diverso, ma “L’Urania dei Cartaginesi”, la cui statua venne portata a Roma all’epoca di Elagabalo69. Ma chi è mai “L’Urania dei Cartaginesi” se non l’Afrodite Urania dei Greci? I Cartaginesi erano infatti Fenici e, come abbiamo visto in precedenza, il culto dell’afrogenea fu diffuso veso Occidente da questo stesso popolo.
C’è però anche la forte possibilità che Urania sia in effetti Urania, la musa dell’astronomia e della poesia astronomica e didascalica. Le Muse erano al servizio di Apollo e Urania in particolare fu amata dal dio e da lui ebbe un figlio70. Ecco dunque spiegata l’aggiunta di tale divinità sulla stele.
Assai interessante è l’invocazione alle Muse di Virgilio:
Me accolgano, dolci sopra tutto, le Muse,
di cui celebro i riti, percosso da grande amore,
e mi mostrino le vie del cielo, le stelle, il vario eclissarsi
del sole, le fasi della luna,…71
Simbolo della Musa Urania, come dimostra una serie monetale di denarii repubblicani di Quinto Pomponio Musa, era ancora una volta la Stella Macedone. Se infatti al dritto c’era la testa di Apollo, al rovescio si trovavano, oltre a Hercules Musarum, le varie Muse. E il simbolo di ciascuna era riportato al dritto accanto al capo del dio. Ecco la moneta con Urania.
Il globo, la Stella Macedone, la bacchetta/scettro, il medesimo abbigliamento della dea sulle monete civiche di Uranopoli… Che la divinità venerata a Uranopoli fosse Urania e non Afrodite Urania? Che Alessarco fosse un’astronomo un po’ pazzo piuttosto che il fautore dell’amore e dell’armonia celesti? O piuttosto i contorni delle due divinità sfumano l’uno all’interno dell’altro nel grande calderone del mito greco? Solo suggestioni? Forse, ma tremendamente affascinanti.
Ma cosa accade invece a Roma? Vediamo assieme alcune monete.
In quanto membro della gens Iulia, Cesare ebbe come sua principale divinità protettrice proprio Venere. Nelle sue monete (n°38-42) i contorni della Venus Caelestis (cioè Afrodite Urania), si fondono con quelli della Victrix recante una Nike sul palmo della mano, ma i simboli dell’Urania ci sono tutti: falce lunare, stella e globo. Anche Ottaviano riprende questa tematica nel momento del massimo sforzo bellico contro Antonio (n°43).
Col Divo Augusto (n°44) ritorna la contrapposizione tra Sole e Luna, quest’ultima associata al globo. Al rovescio Livia, ancora vivente, è definita GENETRIX ORBIS. Tale epiteto, tanto più all’interno della Gens Iulia, rimanda immediatamente a Venere.
La dea è costantemente presente sulle monete di imperatori e imperatrici, semplicemente come Venus o Venus Augusti, Felix, Victrix, Genetrix, ma per molto tempo i riferimenti al suo ambito celeste vengono meno. Bisogna cercare in provincia (n°45) fino al regno di Elagabalo, quando compare per la prima volta una Venus Caelestis (traduzione latina di “Afrodite Urania”) definita esplicitamente come tale (n°46-47). Viene subito in mente il passo di Cassio Dione ricordato in precedenza, in cui si racconta di come il giovane imperatore avesse portato a Roma la statua di Urania dei Cartaginesi per farne la propria moglie. Una Venus Celestis è attestata anche per Magnia Urbica (n°48), mentre sulle coniazioni di Galeria Valeria (n°49) Venus Victrix è spesso affiancata da stella, falce lunare o talvolta entrambe.
Ritornando a Uranopoli, un indizio ulteriore è individuabile nell’isola di Rodi, dove alcune monete del II secolo a.C. recano un’immagine del sole (nascente?) dal design molto simile a quello dei due esempi in figura 19.
Ma nelle epigrafi di Epidauro il simbolo di Elios è Sol effundens radios e cioè in pratica una Stella Macedone.
Tutto ciò dimostra ulteriormente la spiccata polivalenza e ambiguità della simbologia celeste.
Volendo tirare le fila di questo lungo discorso, penso che i tetradrammi civici di Uranopoli siano delle invenzioni moderne, mentre propendo per l’autenticità delle frazioni in argento.
Un ultimo argomento da affrontare è quello dell’Alessarco creatore di una nuova lingua. Il Tarn, fedele alla propria chiave di lettura, ha sostenuto la creazione di un linguaggio utopico destinato a essere usato nel World State ideale dell’Antipatride. Quest’ultimo vi avrebbe espresso i propri ideali di fratellanza e universalità e ciò avrebbe inoltre contribuito a creargli attorno un’aura profetica o persino divina.72 Altri invece73 sono decisamente più riduttivi e parlano di una specie di gioco di parole, uno scherzo o, riferendosi al Tarn, di grandi tesi costruite su piccole fondamenta. Più salomonicamente la Levine Gera afferma che l’unica cosa che si può dire con certezza è che Alessarco creò un nuovo linguaggio di qualche genere, apparentemente per la propria città74. Se consideriamo anche la notizia riportata da Plutarco75 emerge senza dubbio l’immagine di uno studioso interessato ad argomenti religiosi abbastanza astrusi e agli studi filologici.
Mi ricorda in qualche modo la figura dell’imperatore Claudio, anch’egli studioso notevole in ambito filologico, oltre che storico: scrisse infatti un dizionario di etrusco, tentò di far rivivere il vecchio costume di utilizzare dei punti di separazione tra le parole e introdusse 3 nuove lettere dell’alfabeto, che però non sopravvissero al suo regno. Sia Alessarco, sia Claudio furono dunque personaggi molto particolari, visti come tali forse anche per lo status di godevano e il ruolo che rivestivano. Inoltre a differenza di molti altri uomini altrettanto particolari, poterono mettere in pratica le proprie idee dato che disponevano delle possibilità per farlo.
Molto decisi sono stati i giudizi della critica nei confronti del fondatore di Uranopoli. Moses Finley gli attribuisce vaneggiamenti e follia76. Altri lo definiscono come eccentrico fratello di Cassandro77, personaggio stravagante e ambiguo78, personaggio eccentrico e non del tutto sano di mente79. Tarn invece ne parla come di un sognatore e un filologo, anche se talvolta opportunamente definito matto o comico80.
Per quanto mi riguarda mi piace immaginarlo come un uomo di cultura con la testa un po’ tra le nuvole alla maniera del Socrate aristofanesco, estraneo al ruolo militare che la sua nascita gli avrebbe dovuto imporre. Eccentrico e forse anche un pochino strambo, ma certamente benvoluto dal suo potente, e spesso crudele, fratello che, trasse sì vantaggi politici dalla fondazione di Uranopoli, ma credo che in fondo ciò che lo convinse in tal senso sia stato il profondo affetto che nutriva nei suoi confronti. O forse sono un sognatore anche io…
Ma cosa rimane, oggi, dell’Uranopoli di Alessarco?
E’ risaputo che il Cristianesimo affonda le proprie radici nel mondo pagano, in larga misura in quello greco-romano, ma anche in quello orientale.
Il Natale, per esempio, deriva dall’antica festa del solstizio d’inverno del 21 dicembre connessa alla nascita del Dio-Sole presente nelle più svariate religioni dell’antichità. L’usanza di scambiarsi doni e l’atmosfera festiva deriverebbero invece dalla festa dei Saturnalia, che si svolgeva dal 17 al 23 dicembre.
La Pasqua si ricollega all’equinozio di primavera e agli antichi culti connessi alla “resurrezione” della natura dopo l’inverno.
E’ interessante notare come il culto dei Santi e dei Martiri abbia sostituito “la pluralità di dei che, a livello psicologico, non potevano trovare un’adeguata sostituzione nella semplice e austera adorazione dell’unico Dio monoteista giudeo-cristiano”81. Inoltre poichè dei ed eroi pagani erano sempre legati a qualche categoria di persone, luogo o attività, ciò si verificò anche coi Santi.
William Hansen ha studiato il racconto folklorico “The sailor and the oar” (Il marinaio e il remo), attestato in una serie di ben 26 testi, di ambito greco e anglosassone, del XIX e XX secolo. Grazie al suo approccio comparativo lo studioso dimostra come esso derivi in ultima sostanza, attraverso una plurisecolare tradizione orale, da nient’altro che un episodio dell’Odissea, nel quale Tiresia profetizza all’eroe il suo futuro:
E quando i pretendenti nel tuo palazzo avrai spento,
o con l’inganno, o apertamente col bronzo affilato,
allora parti, prendendo il maneggevole remo,
finché a genti tu arrivi che non conoscono il mare,
non mangiano cibi conditi con sale,
non sanno le navi dalle guance di minio,
né i maneggevoli remi che son ali alle navi.
E il segno ti dirò, chiarissimo: non può sfuggirti.
Quando, incontrandoti, un altro viatore ti dica
che il ventilabro tu reggi sulla nobile spalla,
allora, in terra piantato il maneggevole remo,
offerti bei sacrifici a Poseidone sovrano
– ariete, toro e verro marito di scrofe –
torna a casa e celebra sacre ecatombi…82
La figura predominante nel filone greco è quella di Sant’Elia, le cui cappelle si contano innumerevoli sui cucuzzoli dei monti ellenici. Eccone un esempio:
Dicono di Sant’Elia che fu un marinaio e passo la vita a bordo delle navi. Affrontò tempeste violente, e durante una terribile la sua nave affondò e tutti eccetto lui affogarono. Afferrando un remo della nave, Sant’Elia riuscì a raggiungere la terraferma. Disgustato, tuttavia, dalle sofferenze patite in mare, si ritirò nell’entroterra. Col suo remo sulla spalla si incamminò, e a chiunque incontrasse lungo la strada chiedeva:”Cos’è questo?”, e poichè ogni volta gli rispondevano:”un remo”, capiva che quelle persone conoscevano il mare. In questo modo un giorno raggiunse un piccolo villaggio costruito sulla cima di una montagna. Radunò gli abitanti del villaggio, mostrò il remo e chiese loro:”Cos’è questo?”. All’unisono quelli risposero:”Un pezzo di legno”. Non avevano mai visto il mare, navi o barche. Perciò rimase con loro per sempre. E da allora le cappelle di Sant’Elia sono sempre costruite sulle cime dei monti.83
Molti templi pagani divennero chiese cristiane e spesso furono dedicate a Santi che richiamavano il nome o le peculiarità dei precedenti titolari del culto. Ad esempio molti edifici cultuali di Giove furono riassegnati a San Giovenale. Numerosi templi di Iside furono invece riconvertiti in santuari mariani, poichè la dea egizia possedeva molti elementi di affinità con la madre di Gesù. In realtà la figura di Maria contiene elementi sincretistici di provenienza variegata, come possiamo vedere in Grecia, dove ritraviamo numerosi templi di Atena trasformati in luoghi di culto della Vergine (il Partenone è il più famoso).
Infatti col passare dei secoli la Chiesa ha elaborato una “teologia mariana”, concentrando sempre più su di essa le mitologie pagane connesse alle dee materne e quelle vergini. Notiamo che il culto di Maria venne sancito ufficialmente nel concilio del 431 d.C. svoltosi ad Efeso, centro urbano strettamente legato alla “madonna pagana” Artemide.
Tornando a noi, credo che un fenomeno analogo a quelli appena descritti si sia verificato anche con Uranopoli.
Così come la città di Alessarco, anche la comunità del Monte Athos è un territorio autonomo all’interno di un’entità più ampia e dotato di uno statuto di autogoverno. Entrambe sono ovviamente comunità religiose fortemente legate al culto di una entità femminile.
I primi eremiti cristiani giunsero probabilmente già nel IV secolo d.C., ma la leggenda intrecciata alla nascita di questa comunità vuole che Maria, accompagnata da Giovanni Evangelista, stesse navigando da Joppa verso Cipro per andare a trovare Lazzaro.
La nave, a causa di una tempesta, giunse proprio presso l’Athos.
La Vergine, scesa a terra tra una natura selvaggia e meravigliosa, chiese al Figlio di fare di quel luogo il proprio giardino. E si udì una voce:”Che questo luogo sia la tua eredità e il tuo giardino, un paradiso e un’ancora di salvezza per coloro che ricercano salvezza”.
Questa storia rimanda vagamente alla nascita di Afrodite Urania:
E le vergogne, cosí come pria le recise col ferro,
dal continente via le scagliò nell’ondísono mare.
Cosí per lungo tempo nel pelago errarono; e intorno
all’immortale carne sorgea bianca schiuma; e nutrita
una fanciulla ne fu, che prima ai santissimi giunse
uomini di Citèra. Di Cipro indi all’isola giunse.
E qui dal mare uscí la Dea veneranda, la bella;
ed erba sotto i piedi suoi morbidi crebbe; e Afrodite
la chiamano gli Dei, la chiamano gli uomini: ch’ella
fu dalla spuma nutrita: Ciprigna anche è detta, da Cipro
ov’ella anche approdò: Citerèa perché giacque a Citera;
e genïale perché dalle membra balzò genitali.
Compagno Amor le fu, la segui Desiderio leggiadro,
quando ella prima nacque, dei Numi avanzò fra l’accolta.
Tal da principio onore possiede, tal sorte prescelta
a lei fu tra le genti mortali e fra i Numi immortali:
i virginali colloquî d’amore, ed il riso e gl’inganni,
ed il soave sollazzo, coi baci piú dolci del miele.84
La meta originaria di Maria era Cipro, ma magari è un caso. Entrambe comunque giungono per mare al loro punto d’arrivo, che si caratterizza per una natura rigogliosa, anche se, nel caso della dea greca, è lei stessa a farla nascere.
L’Afrodite Urania platonica, così come la Madonna, è legata ad alti valori di moralità e virtù, benchè questi siano differenti tra loro, ossia quelli propri del contesto storico-religioso di riferimento.
La colomba, simbolo cristiano di pace per eccellenza, è ipostasi di Afrodite, ma soprattutto anche Maria ha una fortissima connotazione astrale e celeste:
Nel cielo apparve poi un segno grandioso; una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle.85
Chi è costei che sorge come l’aurora, bella come la luna, fulgida come il sole, terribile come schiere a vessilli spiegati?86
Ci sono gli stessi elementi della simbologia uranopolitana: sole, luna e stelle.
In numerose icone ortodosse, come nella Madonna della Consolazione o nella Panagia Hodegetria, la Stella Macedone compare sulle vesti poste sulle spalle e sul capo di Maria. Ciò potrebbe derivare da fenomeni sincretistici tra la dea Atena e la madre di Gesù. Chiamata infatti in ambito bizantino aeiparthenon (“per sempre vergine”), la stella è presente nel numero di 3, che simboleggerebbe la verginità di Maria, mantenuta prima, durante e dopo la Concezione.
La mia conclusione è dunque che all’Athos si sia verificato un processo sincretistico che ha interessato Afrodite Urania e la Madonna e, anzi, volendo fare un passo ulteriore la grande importanza del culto di quest’ultima in loco sia nata come conseguenza di quello precedente dell’Afrogenea, della quale ricalcava numerosi aspetti.
A voi tutti che avete avuto la forza di arrivare fin qua volevo infine mostrare un ultimo scherzoso, ma nel contempo serio, elemento sincretistico…
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NOTE
1Erodoto, Storie, VI, 44; VII, 115-121.
2Tucidide, Guerra del Peloponneso, IV, 84-85; V, 18.
3Senofonte, Elleniche, V, 2, 11ss.
4Strabone, Geografia, VII, frammenti, 35.
5Landucci Gattinoni 2003 , p. 70.
6Landucci Gattinoni 2003 , p. 67.
7Landucci Gattinoni 2003 , p. 78.
8Clemente Alessandrino, Protrettico, IV.
9Misura per cereali.
10Quest’espressione è molto divertente e contrasta coi proverbi moderni “Ambasciator non porta pena” o “Don’t shoot the messanger”, nonchè con la prassi relativa all’inviolabilità degli ambasciatori attestata fin da Omero. Era un personaggio goliardico o uno sterminatore di araldi?
11I tentativi moderni di traduzione sono stati numerosi.
12Ateneo, Deipnosofisti, III, 54.
1330 stadi sono pari a 5.550 m.
14Strabone, Geografia, VII, frammenti, 35.
15Plinio il Vecchio, Storia Naturale, IV, 17. Pare dunque che la continuità, almeno toponomastica, non sia mai venuta meno.
16Plutarco, Iside e Osiride, 37.
17Landucci Gattinoni 2003, pp. 96-103.
18Landucci Gattinoni 2003, pp. 97-98; 101-102; 104.
19Landucci Gattinoni 2003 , pp. 107-110.
20Landucci Gattinoni 2003, pp. 104-107.
21Landucci Gattinoni 2003, pp. 103-104.
22Landucci Gattinoni 2003, p. 103.
23Vedi sopra: note 6 e 7.
24Lederer. Vedi anche: Gaebler, p. 132.
25Thompson 1981, pp. 43-44. Contro le teorie di Lederer anche: Breitenstein.
26Mørkolm, p. 60.
27Price, pp. 130-131.
28Breitenstein, pp. 248-250.
29Ehrhardt, p. 88; Thompson 1981, p. 44.
30Price, p. 139.
31Mørkolm, p. 60.
32Price, p. 136, 475. Ampiamente presente nei tetradrammi di Anfipoli coevi è il simbolo della stella a sè stante: 474-481; 483; 488.
33Ciò si potrebbe forse spiegare con la volontà di dare particolare risalto alla fondazione di Uranopoli, probabilmente a fini propagandistici.
34 De Callataÿ 1995, p. 300.
35Price, pp. 130-131.
36Landucci Gattinoni 2003, p. 60.
37Personalmnte sono sempre scettico a prescindere di fronte a unicum inediti di ignota provenienza.
38Landucci Gattinoni 2003, pp. 77-78.
39Gregory, pp. 24-26. Ritengo questa datazione più probabile di quella (301-294 a.C. circa) proposta da: Billows, pp. 189-192.
40Landucci Gattinoni 2003, pp. 137-144.
41Ferguson, pp. 104-108.
42Tarn, p. 431.
43Ferguson, p. 109.
44Baldry, p. 124.
45Tarn, pp. 429-434.
46Baldry, pp. 124 e 126.
47Ferguson, p. 101.
48Mossé, p. 300.
49Ferguson, p. 109.
50Ferguson, p. 109.
51Betilo deriva dell’ebraico beth-el, che significa casa di Dio.
52Termine greco che indica un’immagine cultuale aniconica, per lo più legata ad antichissime origini.
53IG IV, pp. 186-189.
54IG IV, p. 188.
55Ferguson, p. 110.
56Massimo di Tiro, Dissertazioni, XXXVIII.
57Kouklia Museum.
58Roccia di origine vulcanica costituita prevalentemente da feldspati sodico-calcici.
59Classen.
60Adams.
61Si tratta di una mia opinione, che vedrò di esporre in un contributo futuro.
62Faintich.
63Monete e astronomia.
64Vedi sopra: note 23 e 24.
65Price, p. 131.
66Landucci Gattinoni 1992, pp. 174-182.
67Vedi sopra: nota 54.
68IG IV, 1356, p. 294.
69Cassio Dione, Storia Romana, 80, 12.
70Igino, Favole, 161.
71Virgilio, Georgiche, II, vv. 475-478. Traduzione di L. Canali.
72Tarn, pp. 430-431.
73Baldry, pp. 124-125; Ferguson, p. 108.
74Levine Gera, p. 33.
75Vedi nota 15.
76Finley, p. 281.
77Ferguson, p. 108.
78Landucci Gattinoni 2003, pp. 78-79.
79Baldry, pp. 124-125.
80Tarn, p. 429.
81 Radici pagane.
82Omero, Odissea, XI, vv. 119-132. Traduzione di R. Calzecchi Onesti.
83Hansen, p. 242, n°1.
84Esiodo, Teogonia, vv. 188-205. Traduzione di E. Romagnoli.
85Giovanni, Apocalisse, 12, 1.
86Cantico, 6, 10.
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