L’Aurora colore dell’oro si diffondeva su tutta la terra; e Zeus signore del fulmine radunò l’assemblea degli dei sulla vetta più alta dell’Olimpo dalle molte cime; prese a parlare lui stesso e tutti gli dei lo ascoltavano…1
L’Olimpo è un luogo mistico. Non risulta difficile capire perché gli antichi Greci lo abbiano considerato fin dalla notte dei tempi come dimora degli dei.
Zeus ne era il sovrano e ovunque era il suo regno:
nelle robuste querce a lui sacre;
nei fulmini, sue armi micidiali, dai quali l’ampia terra è scossa2;
nelle aquile, nunzie del dio che regna e tuona, che solcano in alto l’aria fonda con le fulve penne precipitose3.
Dopo una notte passata nel piccolo villaggio pedemontano di Litochoro, perfetto come base di partenza per divine escursioni, ci attende la visita di Dion, cuore religioso dell’antica Macedonia, con ben due santuari dedicati al padre degli dei e degli uomini.
Appena alzati, dal balcone dell’albergo possiamo osservare, evento raro in Grecia d’estate, il cielo scuro squassato da fulmini proprio sopra la nostra meta, dove, appena usciti dal più antico dei due luoghi di culto del dio, un’aquila atterra a una decina di metri da noi e, dopo essersi fatta fare un bel servizio fotografico, vola via maestosa tanto quanto era arrivata.
Dimenticavo… le querce sono tra gli alberi più diffusi.
Voglio mostrarvi una moneta epirota:
Al dritto sul capo di Zeus c’è una corona di foglie di quercia, al rovescio un’aquila appollaiata su un fulmine è posta all’interno di una seconda corona di foglie di quercia.
Aquila, fulmine e quercia sono dunque i tre simboli principali di Zeus.
Mi chiedo: un antico Greco al mio posto cosa avrebbe pensato?
Dion è una vera sorpresa, della quale prima di questo viaggio non sapevo assolutamente nulla.
Paesaggio meraviglioso, flora lussureggiante, fauna varia e abbondante, resti archeologici di alto livello e un’importanza storica ancora maggiore creano un luogo fuori dal comune e adatto per tutti i gusti.
Dion, il cui nome deriva dalla medesima radice indoeuropea dyeu- che si ritrova anche in Ζεύς (Διός al genitivo) ed è connessa al concetto di luce, nel primo decennio della guerra del Peloponneso (431-404 a.C.) era un centro poco significativo4.
Fu solo con re Archelao (413-399 a.C.) che Dion acquisì un’importanza enorme.
Diodoro Siculo (Biblioteca Storica, XVII, 16, 3-4) ci informa che nel 334 a.C. Alessandro Magno, prima di invadere l’Asia compì sfarzosi sacrifici agli dei a Dion in Macedonia e organizzò gli agoni teatrali in onore di Zeus e delle Muse che Archelao, uno dei suoi predecessori, aveva istituito. Celebrò il festival per nove giorni, chiamando ciascuno di essi col nome di una delle Muse. Eresse una tenda che ospitasse un centinaio di divani e invitò al banchetto i suoi Amici e ufficiali, oltre agli ambasciatori delle città. Mostrando estrema magnificenza, egli intrattenne di persona un gran numero di partecipanti oltre a distribuire alle sue intere armate gli animali sacrificati e tutte le altre cose adatte per l’occasione festiva, e rese in tal modo il suo esercito di ottimo umore.
Dato che proprio a Dion Alessandro decise di celebrare in pompa magna con Macedoni e alleati la partenza per la spedizione asiatica, tale centro religioso doveva aver assunto all’epoca un’importanza enorme, che peraltro mantenne con tutti i successivi sovrani macedoni.
Lo stesso Alessandro volle ad esempio collocare proprio qui il gruppo statuario di Lisippo che raffigurava in 25 cavalieri dello squadrone degli Eteri caduti al Granico nel 3348 e vari importanti decreti, trattati, lettere e basi di statue (di Cassandro, Filippo V o Perseo) furono esposti proprio in questo santuario e oggi si trovano nel locale museo.
Stando alle ricostruzioni proposte nei pannelli esplicativi le celebrazioni si tennero nell’area compresa tra il santuario di Zeus Olimpio e il teatro, che ricostruito nel III secolo al posto di uno più antico, fu il luogo dove pare che Euripide abbia per la prima volta messo in scena le sue Baccanti.
Dirigendosi verso l’edificio si rimane quasi senza fiato a causa dell’impressionante mole dell’Olimpo che lo sovrasta.
Dalla sommità delle gradinate si può invece avere un’idea dell’area delle celebrazioni del sovrano macedone.
In quell’epoca il santuario dedicato a Zeus Olimpio e alle Muse non aveva ancora l’aspetto monumentale che avrebbe assunto in seguito ed era semplicemente delimitato da un boschetto.
Cuore dell’area sacra era il colossale altare in pietra lungo ben 22 m, dove venivano sacrificati animali, che nell’attesa rimanevano legati a pietre infisse nel terreno dotate di grossi anelli in bronzo e disposte in 3 file da 11.
Proprio qui furono sacrificati quei buoi, le cui carni vennero poi distribuite agli ospiti di Alessandro.
Numerosissimi e altrettanto interessanti sono i resti sia pubblici, sia privati databili prevalentemente al tardo-ellenismo e all’epoca romana.
Voglio sicuramente menzionare il secondo santuario del padre degli dei presente a Dion, di epoca romana: quello di Zeus Hypsistos (il più alto/grande).
Scavato nel 2003, vi sono state rinvenute le statue di culto raffiguranti il dio in trono con un fulmine nella destra e sua moglie Era.
Inoltre nel santuario erano presenti numerose raffigurazioni votive di aquile.
Affascinante è poi un lungo fregio d’armi detto “monumento degli scudi” (scudi e armature alternati) che, riutilizzato nella basilica romana, doveva decorare in origine un edificio dell’agora ellenistica della seconda metà del IV secolo a.C.
La pratica del riutilizzo era molto diffusa in età romana se pensiamo che la base di una statua bronzea del re Cassandro, originariamente posta nel santuario di Zeus Olimpio della quale ho parlato in precedenza, venne impiegata nel II d.C. secolo come sostegno per la statua di culto di Iside nel suo santuario.
E’ un luogo incantevole con uno stretto rapporto tra natura, acqua e resti antichi, che caratterizza un po’ tutto il parco archeologico.
Il riutilizzo appare con lampante evidenza dal confronto tra le mura di Cassandro della fine del IV secolo a.C. in opera isodoma con quelle raffazzonate realizzate con materiali diversi (anche rocchi di colonne e pezzi di statue) per contrastare le incursioni di Goti ed Eruli del 267 d.C.
BIBLIOGRAFIA
E. N. Borza, In the shadow of Olympus: the emergence of Macedon, Princeton, 1990.
C. Kallini, The Eagle on Greek Coins: the Example of Hellenistic Macedonian and Epirotic Coins, in «Prédateurs dans tous leurs états Évolution, Biodiversité, Interactions, Mythes, Symboles», Antibes, 2011, pp. 397-408.
C.T. Seltman, The Temple Coins of Olympia, Cambridge, 1921.
Sylloge Nummorum Graecorum, Danish National Museum, 8 voll., Copenhagen, 1981-1994.
1Omero, Iliade, VIII, 1-4.
2Cfr Esiodo, Teogonia, 458.
3Cfr Bacchilide, Epinicio 5, vv 16-20.
4Tucidide, La guerra del Peloponneso, IV, 78, 6.
5Borza 1990, pp. 171-177.
6Kallini 2011, p. 399.
7Seltman 1920.
8Plinio, Storia Naturale, XXXIV, 64. Il gruppo fu portato a Roma e posto nella Porticus Metelli da Q. Cecilio Metello Macedonico nel 146 a.C.
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