VIRGILIO E LA CIVETTA
Ci avviciniamo al cuore dell’Impero Romano e andiamo a Pompei.
Questa antica cittadina campana, cancellata all’improvviso dalla faccia della terra, ci offre la possibilità di conoscere molti elementi che altrove sono andati irrimediabilmente perduti o quasi.
Uno di questi è certamente l’enorme quantità di graffiti che, a seconda delle opinioni, decoravano o deturpavano quasi ogni superficie muraria disponibile, sia privata sia pubblica.
Era un fenomeno non diverso da ciò che avviene nelle nostre città. I tempi cambiano, gli uomini invece rimangono sempre gli stessi.
Le tematiche erano svariate: amorosa, politica, satirica, letteraria, economica, storica… insomma qualunque cosa potesse passare per la mente di un Pompeiano desideroso di comunicare utilizzando un supporto durevole. Scripta manent…
Ne ho scelto uno che mi ha permesso di sviluppare un percorso interessante.
Partiamo da una prospettiva squisitamente letteraria.
C’erano numerosissimi graffiti che citano più o meno correttamente i testi di molti autori famosi ancora oggi: uno dei più apprezzati sembra essere stata l’Eneide di Virgilio, che fu pubblicata postuma verso la fine del I secolo a.C.. Decine di iscrizioni si riferiscono infatti a essa e in particolare ben tredici al primo verso del primo libro:
Arma virumque cano, Troiae qui primus ab oris…(Canto le armi e l’uomo che per primo dalle coste di Troia…).
Prima del 79 d.C., dunque, l’Eneide era in cima alle classifiche dei bestseller.
Ma cambiamo argomento per ora. Passiamo a un graffito1 che ci parla di fullones (lavandai) e pennuti.
Cresce(n)s fullonibus et ululae suae sal(utem).
Crescente (nome proprio) ai lavandai e alla loro civetta: saluti!
Ulula est.
C’è una civetta.
E subito sotto:
Arriviamo al dunque. La facciata della fullonica di un certo Fabius Ululitremulus era decorata anche da una rappresentazione di Enea in fuga da Troia con il padre Anchise e il figlio Ascanio. Qualche “genio del male” realizzò poco lontano da questa scena una divertente incisione:
Fullones ululamque cano, non arma virumque.
Canto i lavandai e la civetta, non le armi e l’uomo.
Espressa in modo ironico troviamo una fusione di tutto ciò di cui abbiamo parlato in precedenza. L’anonimo autore afferma con arguzia di preferire i lavandai e la civetta alle tematiche letterarie. L’uccello ha qui una duplice valenza: richiama sia il nome stesso del proprietario (ulula>Ululitremulus), novello Enea, sia la patrona dei fullones Minerva, della quale è uno dei simboli più noti.
1. CIL IV, 4118.
BIBLIOGRAFIA
R.R. Benefiel, Rome in Pompeii: Wall Inscriptions and GIS, in «Latin on Stone. Epigraphic Research and Electronic Archives », Lanham, 2010, pp. 49-51.
CIL IV 9131.
A. Donati, Epigrafia romana. La comunicazione nell’antichità, Bologna, 2002, p. 73.
https://thepetrifiedmuse.wordpress.com/2015/09/29/and-the-owl-doesnt-care/.
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